"Dirty Boulevard" REVIEWS (ita)
Formula perfetta, risultato esaltante. Un vademecum per insegnare i rudimenti del sacro verbo rutilante a frotte di imberbi aspiranti rockers. Si riuniscono a Firenze, attingono alla perfezione rinascimentale, schitarrano come dei beatnik in preda a furore mistico.
Domenico Mungo – Rumore
Pochi in Italia suonano classic rock come loro. Dodici brani originali per un disco di qualità internazionale.
Giulia Nuti – Il Mucchio Selvaggio
E’ più di un disco, è una fatale calamita per quanti fanno del roots rock blues la propria ragione di vita. Un classic rock mozzafiato che esplode ad ogni ascolto.
Max Sannella – Rock Shock
Un album magnifico: dodici pezzi roots rock blues da lasciare senza fiato. Credo che “Dirty Boulevard” sia l’oggetto di culto del 2016 per ogni vero ascoltatore di autentico rock che si rispetti.
Alligatore – Smemoranda
Immaginate di essere in viaggio su una Buick, percorrendo la Route 66: nel vostro mangianastri, Dirty Boulevard. Polvere e paesaggi selvaggi. Un disco che possiamo definire internazionale. Se avete voglia di mettervi in viaggio sulle strade delle sonorità anglosassoni anni 70, Dirty Boulevard è la strada giusta da percorrere e i General Stratocuster and the Marshals un’auto raffinata su cui farle viaggiare.
Giorgio Panci – Music Coast To Coast
Una passeggiata simbolica lungo la linea evolutiva del rock, una summa che ne raccoglie i momenti cruciali. Chiudendo gli occhi, si può quasi immaginare di essere lì… La fine di un sogno, cui però segue sempre l’inizio di una nuova era.
Eugenio De Gattis – True Metal
Fabio Polvani – Blow Up
XMan – Salad Days Magazine
I General Stratocuster padroneggiano alla perfezione il genere, eseguendo i brani con uno stile classico e oscillando tra momenti che tendono al gioioso e altri dal tono crepuscolare. L’impressione è quella di un lavoro maturo, come sono poi stati tutti gli album dei Generali fin dalla loro apparizione sulle scene, neanche cinque anni fa. Emozioni a volontà, quindi, mentre si percorre questa strada sporca e polverosa insieme a una delle band italiane più promettenti degli ultimi anni.
Anna Minguzzi – Metallus.it
Atmosfera elettrica, cantato “horny”, testosterone liquefatto che schizza in aria ad ogni colpo di rullante e così via, in un tripudio di riffoni e cavalcate ritmiche strongly 70’s con folate di venti folk, blues e soul sempre pronte a morsicarti la nuca.
Valerio di Marco – MusicAffairs
Il Generale, che non esito a definire il Paul Kossof italiano, quella sei corde la fa vibrare, la fa piangere, la fa cantare come solo pochi fortunati, impossessati come lui dai demoni del blues, riescono ancora a fare al giorno d’oggi. Il Generale e io suoi Marshals della moda se ne fregano, e continuano a contrabbandare quella mistura di hard rock, polvere da sparo, blues, umori sudisti, tabacco da masticare e Americana che ci stordisce e ci fa godere, come se fossimo in un “Dirty Boulevard”.
Giovanni Loria – Classix
Da tempo non sentivamo del blues-rock di questo livello (…), un gruppo di grandi professionisti che regalano un disco che è d’obbligo correre subito a prenotare e mettere tra gli imperdibili dell’anno. Blues rock elettrico con tutti gli strumenti al posto giusto, ritmica, chitarra, voce, andate ad ascoltare.
Maurizio Donini – Tuttorock.net
C’è un Generale che fa musica e che gioca con i cuori della gente. Tra riverberi stonesiani, racconti dylaniati e spiccioli di blues questo terzo disco completa una trilogia che, ascoltata adesso nella sua completezza, ci sbatte in faccia un’organicità rarissima.
Fulvio Paloscia – La Repubblica
Il successore di “Double Trouble” consacra definitivamente, qualora ci fosse stato bisogno, una delle realtà hard rock più interessanti del panorama italiano. Lungo la strada capita di emozionarsi per retaggi blues che non trovano ormai quasi più spazio nei dischi d’oggi.
Lorenzo Becciani – Core
Una manciata di canzoni che trasudano sangue, sesso e alcool.
Mauro Furlan – Classic Rock
Built To Last rotola lungo un’ipotetica highway come…beh, come cinque Pietre, Thank You Bob è un tributo a Dylan (nel testo) e Knopfler (nel suono), Going Down To Velvet Underground ha un ritornello memorabile e non sarebbe strano saperla dei Bad Company, Little Sparrow è fangosa e pesante come certo grunge; senza farsi mancare indovinati momenti di maggiore atmosfera, come l’introspettività elettroacustica di Piece Of Mind o il soul agrodolce di Hold Back The Tears. E poi tutto il resto (gli altri sei brani, la produzione raffinata ma “saporita” e la prova strumentale e vocale), che vale a porre”Dirty Boulevard” una spanna (leggasi “rilevantemente ma non troppo”) al di sopra dei suoi due predecessori.
Orgio – Andergraund Saund
Lezioni di rock in un side project multiplo. Tra mezzi tempi acustici e accellerate violente, il nuovo lavoro è un omaggio a una storia un po’ americana e molto inglese, perchè questo cd potresti sparartelo mentre guidi una cabrio tra Frisco e Los Angeles, ma anche dentro il fumo di un pub delle Midlands, là dove la musica è narrazione poetica umida alla costante ricerca di un altrove. Disco bello, questo.
Benedetto Ferrara – Rock & Wine
Dirty Boulevard è una gemma preziosa d’altri tempi.
Anna Pierobon – RockLab
Difficile non rimanere affascinati e coinvolti da un rock blues in cui confluisce e si rigenera il meglio del rock blues mondiale. Grande album…e che le parole lascino spazio alla Musica.
Fortunato Mannino – Sound 36
I General Stratocuster dimostrano che anche in Italia si può suonare ottimo hard blues senza sudditanze psicologiche perchè questa collezione di canzoni ha classe, gusto e sprigiona un pathos non trascurabile.
Stefano Cerati – Rock Hard